La separazione come processo di transizione

La natura incerta e fragile della coppia sempre più autocentrata e sempre meno sostenuta dalla dimensione sociale del patto che la lega, rende oggi il divorzio una prova possibile, un evento che può accadere nella storia coniugale.

Il divorzio rappresenta l’esito possibile di una crisi del patto coniugale che, sferrando un attacco traumatico al legame, sfocia nella violazione e nella rottura del patto stesso, segnandone la fine e il fallimento.

Ogni transizione, soprattutto se innescata da una perdita, porta con sé disorganizzazione e sofferenza, coinvolgendo tutta la rete di relazioni in cui un individuo è inserito. Separazione e divorzio sono la conseguenza di una frattura che si inserisce entro un contesto di perdita che non di rado degenera in odio e discordia e che mette profondamente alla prova la famiglia lasciando tracce profonde nella vita dei suoi membri.

La separazione se da una parte apre alla possibilità di un superamento della crisi e può essere un’occasione maturativa e trasformativa della persona e delle relazioni, dall’altra porta con sé il rischio della ripetizione coatta e della risposta regressiva.

La crisi provocata dalla separazione, e che la provoca, va bene al di là del momento puntuale in cui si verifica la frattura; occorre pertanto parlare ancora una volta di un processo di transizione.

Negli ultimi decenni si è fatta strada una concezione della separazione come processo a più fasi all’interno delle quali è possibile distinguere sentimenti dominanti, bisogni, obiettivi, compiti di sviluppo specifici e interventi differenziati.

Il modello di Kaslow (1980) individua tre momenti fondamentali del processo di separazione che vengono denominati stadio della decisione, stadio legale e stadio postlegale. Il primo stadio corrisponde alla tappa del processo di divorzio in cui i coniugi si rendono conto del crescente disimpegno nei confronti della relazione di coppia; durante la seconda fase la separazione diventa ufficiale, mentre nell’ultima fase il gruppo familiare si riorganizza, sia dal punto di vista degli spazi di vita, sia da quello delle relazioni interpersonali.

Dal punto di vista di E. Scabini e V. Cigoli (2000) la transizione va intesa invece in senso forte, cioè come momento chiave delle relazioni familiari, che implica il raggiungimento di un obiettivo e ha insiti diversi compiti di sviluppo per tutte le generazioni coinvolte.

L’obiettivo fondamentale di questo passaggio è affrontare la fine del patto sapendo portare in salvo il legame medesimo (Cigoli, 1999). Ciò significa essere in grado di ricercare e di riconoscere, accanto a ciò che è stato fonte di dolore e di ingiustizia, ciò che di buono e giusto è stato compiuto e distribuito nella relazione.

Si tratta cioè di riconoscere l’esistenza di aspetti positivi e si tratta di tenere viva la fiducia nel valore del legame e in se stessi come degni di legame. Se quel legame è fallito, è valsa la pena di viverlo e vale la pena nella vita dare cura ed energia ai legami.

La messa in salvo del legame non è un processo di conservazione, ma è un vero e proprio lavoro psichico di ricostruzione e “revisione” delle vicende del rapporto di coppia. Essa riporta inevitabilmente ciascuno dei partner a riflettere sulla propria storia generazionale, là dove nascono i bisogni e le attese relazionali che hanno condotto alla scelta del partner e a stringere un patto con lui.

Tutto questo implica però un difficile percorso. La coppia che si trova ad affrontare la decisione di infrangere il patto è messa di fronte alla necessità di risalire alle origini del medesimo e alle modalità attraverso le quali esso è stato stipulato. Solo tramite questo movimento di ritorno all’origine e di riflessione sul patto a partire da se stessi è possibile effettuare il transito, il passaggio.

Il livello di profondità del ritorno all’origine, che riguarda sia i rapporti della persona nella propria famiglia di origine sia la costituzione del patto di coppia, varia a seconda della disponibilità emotiva personale e delle occasioni che il contesto sociale offre attraverso i servizi alla famiglia; esso è comunque indispensabile.

Dal punto di vista cognitivo-affettivo si tratta di sapersi porre interrogativi e di riflettere sulla vicenda relazionale, mentre dal punto di vista etico si tratta di sentirsi implicati, cioè parte in causa e responsabili.

È dunque nella fase “liminale” tra la frattura del legame e la conferma del suo valore che si gioca gran parte del destino della transizione.

Qualunque configurazione assuma la fine del patto, resta il fatto che dopo il divorzio, il corpo familiare sarà impegnato a perseguire l’obiettivo della transizione tramite la cura delle relazioni interrotte dalla frattura coniugale. In particolare ai divorziati verranno richiesti compiti differenti nelle loro posizioni di ex coniugi, di genitori e di figli.

Trattare la fine è un compito che supera la prospettiva individuale, infatti è un compito congiunto dato il tipo di transizione. “ Come insieme si stringe il patto, così insieme lo si scioglie (Cigoli, 1998).

Il tema della fine del patto non è trattato una volta per tutte: esso si ripropone ogni volta che accade qualcosa al legame, ad esempio un nuovo partner, la nascita di un altro figlio o in occasione dei passaggi evolutivi significativi dei figli.

Il divorzio oltre ad essere una transizione dovuta a frattura, è una transizione reiterata in virtù del fatto che i legami non si tagliano, non si aboliscono ma, piuttosto si trasformano. Non è possibile uscire dal legame annullandolo, anche se questo è ciò che molti partner ricercano. E’ invece possibile separarsene, nel senso di riconoscerlo per quello che è stato, sapendo al contempo riproporre il valore del legame e rilanciando la speranza nel legame.

L’assolvimento del compito di trattare la fine consente il raggiungimento dell’obiettivo di “portare in salvo il legame”, vale a dire, il valore del legame in sé e dell’altro come degni di legame. L’impresa è difficile proprio perché il legame ha ricevuto vari e devastanti attacchi e perché i suoi costi sono stati elevati sia in termini psichici che fisici.

La coniugalità è una funzione profondamente connessa alla genitorialità. Qualora il dispositivo della coppia non funzioni emergono varie difficoltà nel processo di trasmissione intergenerazionale. Nei casi di separazione in cui gli ex coniugi siano anche genitori il compito a loro richiesto diventa ancora più complesso.

Riuscire a separarsi come marito e moglie e tuttavia continuare a essere padre e madre, salvando la genitorialità, rappresenta un compito molto impegnativo spesso assolto a prezzo di grandi difficoltà e sofferenze. La spartizione delle responsabilità come genitori implica la non facile accettazione della reciproca appartenenza a uno stesso sistema familiare.

Solo qualora ciascun membro giunga ad accettare la propria parte di responsabilità nell’aver contribuito alla fine del matrimonio e si ricolleghi alla propria appartenenza familiare e socioculturale, la crisi potrà dirsi affrontata. Ed è solo a tale condizione che gli ex coniugi saranno in grado di attuare il contemporaneo processo di distacco-congiunzione, salvando il legame al di là della frattura.

In sintesi, l’indispensabile impegno richiesto ai genitori separati sembra essere quello di salvare la genitorialità. Ciò implica portare in salvo qualcosa di buono del legame coniugale, mantenendo così anche una quota di coniugalità la cui funzione non è senza effetti anche sull’esercizio della genitorialità stessa.

Sembra essere indispensabile una almeno minimale stima e comprensione dell’altro in quanto genitore. E’ cruciale per la salvaguardia delle relazioni familiari la legittimazione reciproca tra genitori.

Si può pensare alla legittimazione reciproca come a una nuova forma di patto tra ex coniugi in cui “gioia e dolore e salute e malattia” si centrano sulla relazione coi figli. Il paradosso del divorzio è l’uscita da un patto (di coppia) per riaffermare il valore del patto (generazionale).

BIBLIOGRAFIA

  • Scabini E., Rossi G. (2006), “Le parole della famiglia“, Milano, Vita e Pensiero
  • Scabini E., Cigoli V. (2000), “Il famigliare. Legami, simboli e transizioni“, Milano, Raffaello Cortina
  • Vegetti Finzi S. (1992), “Il romanzo della famiglia“, Milano, Mondadori
  • Stojkovic M., Galeota C. (2014), “Allora ciao. Il manuale per un divorzio perfetto“,De Agostini
  • Koch C., Strecker C. (2014), “Mamma e papà si separano. Consigli psicologici e pratici per affrontare la separazione e spiegarla ai propri figli“, Erickson
2019-02-11T13:57:21+00:00